{"id":24043,"date":"2011-03-25T07:00:49","date_gmt":"2011-03-25T07:00:49","guid":{"rendered":""},"modified":"2011-03-25T10:33:06","modified_gmt":"2011-03-25T10:33:06","slug":"vincenzo-vela-e-il-lavoro-dello-scultore","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/vincenzo-vela-e-il-lavoro-dello-scultore\/","title":{"rendered":"Vincenzo Vela e il lavoro dello scultore"},"content":{"rendered":"
Talvolta, le produzioni artistiche trascendono gli intenti iniziali del loro autore, e assurgono al ruolo di simboli, di icone: è il caso, tra le altre, delle Vittime del lavoro<\/em>, opera dello scultore ticinese Vincenzo Vela.<\/strong> Per portare un esempio della sua fortuna, alcuni anni fa, durante le celebrazioni del Primo Maggio del 2007, l'immagine di quest'opera campeggiava sul palco della cerimonia per la consegna delle medaglie ai maestri del lavoro del Lazio, cui era presente il presidente della Repubblica Napolitano.<\/strong> Ma quale fu l'origine di questo capolavoro? E' interessante notare che Vela operò in autonomia, senza nessun suggerimento per quanto riguarda il tema, ma soprattutto senza aver ricevuto alcuna commissione. <\/p>\n Le parole dello stesso scultore ci fanno comprendere la forte tensione ideale che animò l'autore di Ligornetto: "[…]non sono mai stato altro che un operaio: me ne sono sempre vantato. Ho sempre amato e ammirato i poveri oppressi, i martiri del lavoro, che rischiano la vita senza fare il chiasso dei cosiddetti eroi della guerra e che pensano solo a vivere onestamente. Ebbene, oggi che si sperperano milioni innalzare monumenti ai re e centinaia di migliaia di franchi per perpetuare il ricordo dei ricchi il cui merito e la cui gloria stanno solo nelle loro casseforti, mi sono sentito in dovere di ricordare alle persone di cuore questi umili martiri, che sono loro fratelli e lavorano per tutti eccetto che per se stessi. Feci quest'opera senza averne avuta la commissione, né <\/p>\n l'idea da nessuno."<\/p>\n Il grande gesso, realizzato nel 1882 nello studio di Ligornetto dove è ancor oggi conservato<\/strong>, fu successivamente esposto all'Esposizione Nazionale Svizzera di Zurigo e all'Esposizione di Belle Arti di Roma, entrambe tenutesi nel 1883. L'autore espose l'opera avendo nel cuore la ricerca di eventuali finanziatori che che sostenessero la realizzazione di una versione bronzea, da collocare all'imbocco italiano del traforo del Gottardo, ultimato nello stesso anno del rilievo. Tuttavia, solo nel 1895, quattro anni dopo la morte dell'artista, il Ministero della Pubblica Istruzione promosse la fusione di un primo esemplare, destinato alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna e si dovette attendere fino al 1932 perché ad Airolo fosse collocata, secondo i voti dello scultore, un'ulteriore versione bronzea.<\/p>\n Passando ad un esame stilistico, possiamo ritenere questo rilievo, per certi versi, piuttosto isolato all'interno della produzione dell'artista, che si snoda lungo un percorso, come affermato da Cristina Casero, tutto sommato "ben radicato nella tradizione scultorea della metà del secolo". <\/strong>La dirompente forza dell'opera emerge ancor più fortemente se la poniamo a confronto con un monumento dedicato allo stesso tema, comparso solo tre anni dopo sempre in Canton Ticino: penso al Monumento alle vittime del Gottardo<\/em> di Pietro Andreoletti<\/strong>, eretto nel 1886 nel cimitero comunale di Airolo, località ove è sito l'imbocco italiano del traforo. Opera di un <\/p>\n personaggio al limite tra la qualifica artigiana e quella artistica, che ottenne però nella sua carriera buoni riconoscimenti (oltre a quello ticinese, gli fu commissionato un secondo monumento alle Vittime anche per la città di Göschenen), la scultura di Andreoletti, forse anche per la committenza, che voleva unire nel ricordo i caduti sul lavoro e l'ideatore dell'impresa, Luigi Favre, mostra intenti assai diversi da quelli del Vela. Pur non ricusando un vivace realismo nella figura del minatore, l'accento è posto più sul tema, consueto per la scultura funeraria, del dolore dei rimasti.<\/p>\n Il bassorilievo di Vela, invece, ad un primo sguardo sembra puntare sull'oggettività dei fatti. Il morto, nel cui volto è possibile riconoscere un autoritratto dello scultore, è trasportato su di una rozza barella da due personaggi abbrutiti dalla fatica, del tutto lontani da ogni esaltazione del fisico (penso ad opere pur di salda impostazione realistica come Le "puddleur"<\/em>, di Meunier), è accompagnato da due altri compagni, che illuminano con fumanti lucerne il cammino verso l'uscita. Forse anche per questo dettaglio, con i lumi che sembrano quasi assimilarsi a turiboli, la scena non può che spingere la memoria verso analoghe immagini di soggetto sacro: non è un caso che Giorgio Zanchetti <\/strong>abbia parlato del soggetto di questo rilievo nei termini di una "Pietà laica". 1° maggio 2007, cerimonia per la consegna delle medaglie ai maestri del lavoro Talvolta, le produzioni artistiche trascendono gli intenti iniziali del loro autore, e assurgono al ruolo di simboli, di icone: è il caso, tra le altre, delle Vittime del lavoro, opera dello scultore ticinese Vincenzo Vela. Per portare un esempio della sua fortuna, […]<\/p>\n","protected":false},"author":1,"featured_media":24044,"comment_status":"closed","ping_status":"open","sticky":false,"template":"","format":"standard","meta":{"footnotes":""},"categories":[41,17,231],"tags":[],"yoast_head":"\n
In sottofondo, insomma, pur in un generale tono antiretorico, sembra di poter cogliere un senso di celebrazione della dignità del lavoro: gli operai morti sono vittime nel senso più vero della parola, sono cioè tributi immolati sull'altare del progresso e dello sviluppo.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"