{"id":24636,"date":"2011-06-17T05:41:48","date_gmt":"2011-06-17T05:41:48","guid":{"rendered":""},"modified":"2011-06-17T08:58:32","modified_gmt":"2011-06-17T08:58:32","slug":"como-1969-la-citt-come-campo","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/como-1969-la-citt-come-campo\/","title":{"rendered":"Como 1969: la citt\u00e0 come campo"},"content":{"rendered":"
Campo Urbano<\/strong> fu espressione di un particolare clima sociale e culturale "ancora innervato", come ha ricordato Luciano Caramel <\/strong>che ideò e coordinò la manifestazione, "dello spirito sessantottesco" che coinvolse non solo il mondo degli studenti, ma anche quello dell'arte. Sul finire degli anni Sessanta molti artisti ricercarono infatti un contatto più ampio con la società uscendo dalle gallerie e dai musei e portando le loro performance <\/em>e le loro installazioni nelle strade e nelle piazze delle città. Valentina Berardinone<\/strong>, una delle protagoniste di quella giornata, in uno scritto del settembre del 1969 poi pubblicato sul catalogo della manifestazione, affermava infatti "la necessità di abbattere il diaframma che separa l'artista dalla collettività" e il desiderio di "poter giungere ad un tipo di vero lavoro corale in cui non vi fossero più ‘attori' da un lato e ‘spettatori' dall'altro". Dal primo pomeriggio fino a sera le piazze e le strade di Como diventarono teatro delle azioni degli artisti, <\/p>\n "fissate" dagli scatti di Ugo Mulas che ci restituiscono ancora oggi l'atmosfera di quel giorno. Ico Parisi <\/strong>e Francesco Somaini <\/strong>presentarono alcuni prototipi di abitazione chiamati "Contenitori umani", il Gruppo Art Terminal<\/strong> coinvolse la cittadinanza in un'azione di "Sostituzione di un cancello", Enrico Baj <\/strong>insieme ad altri artisti inscenò un "Colpo di Stato" ironizzando sulla retorica della manifestazioni di piazza, Bruno Munari <\/strong>"visualizzò" l'aria di piazza del Duomo attraverso il volo di tanti pezzetti di carta, mentre Mario Di Salvo <\/strong>e Carlo Ferrario<\/strong>, con una serie di specchi collocati a terra, fecero riflettere la cattedrale per restituirla a una nuova attenzione da parte dei cittadini. Sempre in una direzione di modifica della percezione abituale degli spazi urbani si mossero gli interventi di Ugo La Pietra,<\/strong> che isolò il centro di via Vittorio Emanuele dal sistema commerciale rappresentato dalle vetrine dei negozi, Grazia Varisco<\/strong>, che costruì con degli scatoloni di cartone un percorso "alternativo" in via Cinque Giornate, e Dadamaino <\/strong>che, gettando nel lago delle piastre di polistirolo verniciate al fosforo che avrebbero dovuto creare degli effetti luminescenti sull'acqua, volle far riscoprire una parte della città "inosservata nel panorama abitudinario". Un grande coinvolgimento collettivo fu anche alla base del concerto con cui Giuseppe Chiari <\/strong>e Franca Sacchi<\/strong> "suonarono la città".<\/p>\n Anche se molte proposte avevano in sé una forte carica propositiva e critica, i limiti di un concreto intervento nella città furono riconosciuti dagli stessi artisti che in molti casi volutamente rinunciarono a opere che incidessero in modo non temporaneo nel tessuto urbano, come Edilio Alpini, Davide Boriani, Gianni Colombo <\/strong>e Gabriele De Vecchi <\/strong>che vollero concludere "la bella giornata di festa" con un temporale artificiale, cioè, secondo le loro stesse parole, con "qualcosa di ovvio, inutile e completamente privo di qualsiasi velleità estetica o contenutistica". U. Mulas, Bruno Munari, "Visualizzazione dell'aria di Piazza Duomo del 21 settembre 1969" Campo Urnao, 1969 Campo Urbano fu espressione di un particolare clima sociale e culturale "ancora innervato", come ha ricordato Luciano Caramel che ideò e coordinò la manifestazione, "dello spirito sessantottesco" che coinvolse non solo il mondo degli studenti, ma anche quello dell'arte. […]<\/p>\n","protected":false},"author":1,"featured_media":24637,"comment_status":"closed","ping_status":"open","sticky":false,"template":"","format":"standard","meta":{"footnotes":""},"categories":[42,230,14],"tags":[],"yoast_head":"\n
I partecipanti, molto diversi per età e scelte creative, furono invitati a instaurare un rapporto "vivo e non scontato" con la città di Como e i suoi abitanti, con le loro abitudini e necessità. <\/strong>La manifestazione voleva infatti essere un momento di interrogazione e di dibattito attorno al senso stesso dell'arte e della sua possibile funzione all'interno della società. La città era considerata fin dal titolo non come spazio astratto, ma come "campo" di relazioni sociali. E fu proprio la dimensione sociale a essere maggiormente sottolineata dagli artisti che con le loro performance <\/em>ricercarono un rapporto con la collettività più che intervenire sugli aspetti architettonici o urbanistici del centro urbano.<\/p>\n
conclusivo di Campo Urbano, 1969
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Il 21 settembre del 1969 fu un giorno vivo e irripetibile, come ha sottolineato Luciano Caramel, "anche perché si era sul crinale del passaggio dall'effimero, trionfante in quell'occasione, alla rimeditazione sull'opera, il suo spessore formativo, la sua durata, che già si facevano sentire nella proposta di Luciano Fabro<\/strong>", che infatti, riportando l'attenzione sulle premesse necessarie per un'attività artistica libera, chiese all'amministrazione comunale un appezzamento di terreno per poter operare sul territorio di Como "al di là di un effimero accertamento di propositi".<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"