{"id":24701,"date":"2011-07-01T03:25:18","date_gmt":"2011-07-01T03:25:18","guid":{"rendered":""},"modified":"2011-07-01T09:03:52","modified_gmt":"2011-07-01T09:03:52","slug":"patrimonio-rischio-petrolio","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/patrimonio-rischio-petrolio\/","title":{"rendered":"Patrimonio, \u201crischio petrolio\u201d"},"content":{"rendered":"
È uno di quei libri che piace tornare a consultare ogni tanto, anche per avere conferme – o smentite – che quella imboccata sia la strada giusta. Era il 2002 quando uscì Italia S.p.A.<\/strong><\/em> di Salvatore Settis<\/strong>. Sembra una vita fa. Posto che la cultura ha un valore e più difficilmente ha un prezzo, o una stima che le permetta di essere alienata, il termine stesso di "patrimonio culturale" ha in sé un rischio strisciante e perverso: quello della sua unica traducibilità in termini monetari. Spiegava Settis: "Le intenzioni erano ottime: puntare sul valore monetario del patrimonio culturale per ottenere più finanziamenti per la tutela. (…) "Questo è il paese dei miliardi!"<\/strong> scriveva nel 1908 un funzionario ministeriale a Corrado Ricci, direttore <\/p>\n generale delle Antichità e belle arti, alludendo alle enormi potenzialità del patrimonio culturale italiano. "L'arte è il petrolio d'Italia"<\/strong>, si affermò ripetutamente in dibattiti parlamentari degli anni fra le due guerre. Per ragioni che hanno a che fare con il crescente peso dell'economia nella vita pubblica e nel discorso politico (non certo solo in Italia), questo secondo argomento (economico) prevalse gradualmente sul primo (istituzionale e culturale)<\/strong> (…) Ancor più chiaro fu il segnale quando, nel 1986, l'allora ministro del Lavoro Gianni De Michelis promosse, con un coinvolgimento marginale e inefficace del ministero dei Beni culturali, una confusa iniziativa di catalogazione informatica che fu lanciata con lo slogan di "Giacimenti culturali" <\/strong>(spendendo, quasi del tutto a vuoto, ben 600 miliardi di quegli anni) (…) La metafora dei "giacimenti culturali" è indicativa: che cos'altro è il nostro patrimonio culturale, se non passivi "giacimenti", risorse non sfruttate in maniera adeguata? Ed ecco intrepidi ministri avventurarsi alla scoperta di questi nuovi pozzi di petrolio<\/strong>, ansiosi di "sfruttarli" nel modo migliore si capisce per il bene del Paese, l'occupazione giovanile e così via".<\/p>\n Ecco il pericolo: non sia mai che valorizzazione faccia rima con erosione o spremitura dei giacimenti culturali. Anche a casa nostra. La provincia di Varese oggi si segnala<\/strong>, tra i territori nazionali, come uno fra i più ricchi di siti UNESCO<\/strong>, un patrimonio da conservare perchè non va dimenticato che la valorizzazione non può essere disgiunta dalla conoscenza e dalla conservazione.<\/strong>
All'indomani dell'inserimento dei siti "nostrani" di Castelseprio-Torba e dell'Isolino Virginia nella prestigiosa lista stilata dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, si sente parlare con rinvigorita insistenza di "gestione" e di "marketing territoriale", di volontà di rilanciare il patrimonio storico-artistico come "manifattura culturale". Ben inteso che l'immobilismo o gli allarmismi su una fruizione più allargata e condivisa di musei, siti e monumenti non abbiano prodotto mai nulla di buono, resta però qualche dubbio su possibili rigurgiti di quella temuta idea dell'arte come "petrolio d'Italia"<\/em>, una concezione ipocrita e pericolosa, smascherata da Settis e ridotta sotto i riflettori.<\/p>\n
Non è vero che non cambierà nulla dal giorno dell'investitura <\/em>UNESCO per i siti di Castelseprio e dell'Isolino Virginia. Il rischio che striscia silenzioso è, al contrario, quello che i beni culturali vengano considerati come oggetti, ognuno col suo bravo cartellino col prezzo. E nulla di più.
"Il valore venale del patrimonio culturale – spiegava Settis – anziché essere un argomento per attirare sulla sua gestione e tutela nuovi e maggiori investimenti, è diventato esso stesso qualcosa da investire per altri fini. I beni culturali, da patrimonio su cui investire, sono gradualmente diventati una risorsa da spremere e da sfruttare per altri scopi".<\/p>\n