{"id":26966,"date":"2012-05-24T17:53:24","date_gmt":"2012-05-24T17:53:24","guid":{"rendered":""},"modified":"2012-05-25T09:29:00","modified_gmt":"2012-05-25T09:29:00","slug":"il-filo-della-storia-intinto-di-colore","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/il-filo-della-storia-intinto-di-colore\/","title":{"rendered":"Il filo della storia intinto di colore"},"content":{"rendered":"
Nella vita c'è sempre un filo. Solo che te ne accorgi con il passare del tempo, con il trascorrere della storia. O, meglio ancora, alla fine della stessa. <\/strong>C'è da stimare chi ha la fortuna, dopo una vita intera, di raccogliere le fotografie, le lettere, le tracce e i segni di amicizie, di affetti di una vicenda intera. La mostra che Busto Arsizio dedica al maestro Aldo Alberti racchiude tutto questo. E molto di più, dal momento che il maestro, vero decano della pittura locale, ha assistito al taglio del nastro dell'ampia rassegna, avendo, ancora una volta attorno a sé, le persone che ama.<\/p>\n Una vita attraversata come un privilegio, con coscienza e volontà di decisione, con entusiasmo o speranza, a seconda del fatto che si pone davanti: vittorie o sconfitte.<\/strong><\/p>\n Per Alberti, l'arte non è fatta di solitari e stretti viottoli, di piccole esperienze e piccole emozioni private. Dai maestri si apprende, con i coetanei si condivide. E così, i riferimenti si incontrano ed emergono con schiettezza dalle opere. Ci sono tutti: Tosi, Morlotti, Sironi. Ma anche Soutine e il più grande di tutti: Georges Rouault, <\/strong>il cui impulso animato da una sincera e drammatica sensibilità religiosa e da un'insopprimibile pietas, si riconosce in tante opere dell'Alberti. Dal maestro parigino il decano bustocco pare riprendere soprattutto l'intensa espressività, la perentorietà del segno grafico, la misura strutturale e rigorosa, l'impietosa violenza, il nutrito impasto di sughi cromatici che conferiscono spessore di rilievo allo schematismo delle forme, sempre più semplificate nell'essenzialità dei contorni.<\/p>\n Quell'essenzialità sacra, senza orpelli, che si ritrova, in talune opere esposte:<\/strong> nella Deposizione<\/em> (carboncino su cartone, anni ‘60) di una sinteticità capace di ricordare Antelami, nel Crocifisso<\/em> – scultoreo, alla maniera dei grandi toscani del XIV secolo – oggi nella Parrocchia di Sant'Anna (olio su tela, 1964) e in quello secco e "metallico" del 1993 (olio su tela), dove il colore del martirio è quello dell'agonia esangue.<\/p>\n La mostra abbraccia il percorso artistico e biografico dalla fine degli anni Venti fino ad oggi con tele, chine acquerellate, ceramiche, vetrate, sanguigne e carboncini.<\/p>\n "Quanti sono i quadri che Aldo Alberti può aver dipinto <\/p>\n nei suoi cento anni di vita dedicata, con ritmo monastico, quasi completamente alla pittura? Quanti i pastelli che hanno tratto ispirazione dal suo interessato e curioso girovagare per vacanze operose? E quanti ne servono per documentare il suo valore, la sua creatività irrefrenabile e originale, sempre informata, ma volutamente indipendente dalle correnti dell'arte contemporanea che accompagnavano l'evolversi dei suoi giorni? Se alle prime domande la risposta è "migliaia", per questa mostra antologica – che vuole rendere appieno ragione alla grandezza di Alberti e rivisitare le fasi del suo operare- scegliamo il numero di cento, così significando e onorando la sua straordinaria longevità". Così si legge nel testo in catalogo di Luciana Ruffinelli.<\/p>\n "Soldi in banca non ne ho messi fino quasi agli anni '60. E dopo… beh, tutti vendevano, certo molto meglio di oggi, e anch'io ho venduto parecchio, forse anche troppo. Credo che a Busto Arsizio siano in pochi oggi, ricchi e meno ricchi, a non avere in casa un mio quadro. Con gli studi regolari sono arrivato solo alla sesta elementare: quindi artisticamente sono proprio un autodidatta. Ho studiato l'arte frequentando i musei quando potevo, a partire dai primi anni '50, in Italia e in Europa. Tra l'altro, ero molto malvisto dai guardiani e sorveglianti perché, per capire meglio la pittura dei maestri, spesso mi trovavo a toccare le tele con le dita per "sentire" meglio la pennellata e la materia. (…) Già da allora i miei temi erano, come oggi, quelli del paesaggio, delle nature morte e, soprattutto, del corpo femminile, del nudo di donna, che per me rappresenta il massimo del fascino e del mistero della forma in senso plastico, quasi vissuta con una sensibilità da scultore".