{"id":28609,"date":"2013-01-31T15:35:24","date_gmt":"2013-01-31T15:35:24","guid":{"rendered":""},"modified":"2013-02-01T08:38:35","modified_gmt":"2013-02-01T08:38:35","slug":"finestra-aperta-sull-arte","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/finestra-aperta-sull-arte\/","title":{"rendered":"Finestra aperta sull\u2019arte"},"content":{"rendered":"
La pittura della seconda metà del Duecento, specie in Toscana e a Roma, vive di spunti gotico-bizantini. A Cimabue spetta però un passo fondamentale nella transizione dalle figure ieratiche e idealizzate (di tradizione bizantina) verso veri soggetti, dotati di umanità ed emozioni, che saranno alla base della pittura italiana e occidentale moderna.<\/strong><\/p>\n La data di nascita approssimativa si basa sulla menzione di Vasari e su un calcolo dell'età che doveva avere nel 1272, quando a Roma viene citato come testimone in un atto pubblico di notevole importanza, quindi verosimilmente sui trent'anni.<\/p>\n Probabilmente la sua formazione si svolge a Firenze, tra maestri di cultura bizantina. Già con il Crocifisso della chiesa di San Domenico di Arezzo<\/strong>, databile attorno al 1270, Cimabue segna un distacco sensibile dalla maniera bizantina. In questa opera, il maestro si orienta verso le recenti rappresentazioni del Christus patiens<\/em> dipinte verso il 1250 da Giunta Pisano, aggiornando l'iconografia ed arcuando ancora maggiormente il corpo del Cristo, che ormai deborda, occupando tutta la fascia alla sinistra della croce.<\/p>\n Di un decennio successivo è il Crocifisso<\/em> per la chiesa fiorentina di Santa Croce, <\/strong>gravemente danneggiato dall'alluvione di Firenze del 1966. Alto tre metri e 90 è un crocifisso grandioso, con la posa del Cristo ancora più sinuosa, ma è soprattutto la resa pittorica delicatamente sfumata a rappresentare una rivoluzione, con un naturalismo privo di quelle dure pennellate grafiche e dei contorni spigolosi che si riscontrano nei lavori bizantini. <\/p>\n Quello appeso alla croce, ore è un corpo morto e la luce modella con il chiaroscuro i realistici volumi dell'addome, del costato, delle spalle e delle gambe della figura.<\/p>\n Cimabue anche nell'iconografia tradizionale della Madonna col bambino<\/em> stabilisce un nuovo canone con il quale si dovettero confrontare i pittori successivi. È ancora del 1280 la Madonna<\/em> con il Bambino<\/em> oggi al Louvre e proveniente dalla chiesa di San Francesco a Pisa.<\/strong> In questa opera è amplificata la maestosità e migliore è la resa naturalistica, pur senza concessioni al sentimentalismo. Di lì a poco un altro grande della pittura avrebbe guardato con interesse a Cimabue: stiamo parlando del senese Duccio di Buoninsegna.<\/p>\n Gli Uffizi oggi conservano un'altra Maestà<\/em> di Cimabue, che viene attribuita ad un momento più tardo, tra il 1290 e il 1300.<\/strong> La principale novità di questa pala è il maggior senso tridimensionale del trono, che crea un vero e proprio palcoscenico al di sotto del quale si apre un loggiato che per un effetto illusionistico appare al centro come un'esedra: qui trovano posto i busti di Geremia, Abramo, Davide e Isaia<\/em> che sembrano affacciarsi in uno spazio realisticamente definito.
L'arte e la cultura europee, tuttavia, dovranno attendere solo un paio di generazioni e l'avvento del ciclone Giotto<\/em><\/strong> che con la sua immensa rivoluzione, ribalterà la situazione, cambiando dall'interno le stesse ragioni dell'arte pittorica di tutto il mondo occidentale.
La più grande personalità della pittura fiorentina pregiottesca è Cimabue, <\/strong>colui che come ci tramanda Dante sembrava "tener lo campo<\/em>", ovvero dominare la scena artistica prima di venir sopravanzato da Giotto, il suo più geniale allievo.<\/p>\n
e angeli<\/span><\/div>\n
Il trono è disegnato con un'assonometria intuitiva, anche se gli angeli sono disposti ritmicamente attorno al seggio, senza interesse ad una reale disposizione nello spazio.<\/p>\n
Le espressioni sono anche più dolci, per cui alcuni critici ritengono verosimile collocare l'opera in un periodo in cui Giotto era già attivo e le sue novità influenzavano anche il maestro.