{"id":28902,"date":"2013-03-20T17:19:30","date_gmt":"2013-03-20T17:19:30","guid":{"rendered":""},"modified":"2013-03-22T10:13:36","modified_gmt":"2013-03-22T10:13:36","slug":"vincere-la-guerra-o-la-battaglia","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/vincere-la-guerra-o-la-battaglia\/","title":{"rendered":"Vincere la guerra o la battaglia?"},"content":{"rendered":"
Sembrerà strano che la città di Varese rispondesse in modo così sollecito: nell'Ottocento, la popolazione era sensibile alla causa nazionale, tanto è vero che, già, nel 1847, si era sollevata contro la dominazione straniera, quando, l'allora feldmaresciallo Radetzky<\/strong>, che avrebbe represso i Milanesi, l'anno successivo, in occasione delle "Cinque giornate", aveva comunicato all'Austria in un resoconto la tumultuosa "disobbedienza" dei cittadini, atteggiamento che il vecchio Metternich<\/strong> bollò con l'espressione "Saturnali di Varese"<\/strong><\/em>.<\/p>\n "Scarsissimi invero, troppo lesinati da burocratica, per non dir filistaica (1) sfiducia nelle forze dell'insurrezione popolare – <\/em>scrive Luzio<\/strong> – erano i mezzi forniti a Garibaldi per compiere la scabrosissima impresa di mettersi allo sbaraglio su territori irti di baluardi e di armati (2). Non aveva artiglieria, non quasi cavalli: non possedeva altro tesoro che le sue impensate geniali energie, la sua inesausta fecondità d'espedienti, l'entusiasmo idolatra di giovani che si sentivan trascinati a correr giulivi alla morte, dinnanzi ai suoi sguardi, come se bello – scrisse uno di loro, il povero Bandi, trucidato a Livorno – avesse ad essere e divino il cadere ammirati e guardati da lui".<\/p>\n <\/em>Attorno a Garibaldi<\/strong>, in quel maggio del 1859<\/strong>, vi erano alcuni compagni giunti dalle Americhe, e, tra i <\/p>\n "Cacciatori delle Alpi"<\/strong><\/em> (3), i superstiti fra quegli stessi che lo avevano accompagnato nell'impresa per la difesa della "Repubblica Romana" <\/strong><\/em>nel 1849 (4): Nino Bixio<\/strong> e Francesco Nullo<\/strong>. A fianco di Garibaldi stava a rappresentare le fasi politiche cavouriane proprio Emilio Visconti Venost<\/strong>a, al quale l'acume del conte aveva affidato un compito assai rischioso, rifiutato da molti altri politici più prudenti, giacché si sarebbe pagato, nel caso di un esito infelice, con il capestro. Infatti, Visconti Venosta<\/strong> doveva fare insorgere i paesi di Lombarda, organizzando e disciplinando la rivoluzione alle spalle dell'esercito austriaco quale Commissario regio di Vittorio Emanuele. Gli armati, moltissimi cittadini comuni, tennero testa agli Austriaci<\/strong>, piombati per punire l'aver infranto i decreti di Gyulai, organizzando, dapprima, la resistenza ed i soccorsi per i combattenti, quindi, quando si scatenò la ferocia repressiva del feldmaresciallo Karl von Urban<\/strong> (7) che mise a ferro e a fuoco la città prima della capitolazione definitiva, nel combattimento presso Malnate<\/strong>. <\/em>Nella breve descrizione si vivono i tratti salienti del moto che serpeggiò per Varese a dieci anni di distanza dalle "Cinque giornate" <\/strong>milanesi: le barricate, la gente nelle strade con il fucile imbracciato, le famiglie che portano aiuti sono il sintomo di una città in fermento (9). <\/em>Di lui<\/strong> e dei sentimenti suscitati dalla morte del giovane, scrisse lo stesso Garibaldi<\/strong> (11): "Un figlio dell'incomparabile madre dei Cairoli (12), la matrona pavese, Ernesto, il più giovane dei tre ch'essa aveva mandati, cadeva a Varese combattendo, sul cadavere di un tamburino nemico che egli aveva ucciso di baionetta. Mi passò per la mente tutta l'afflizione di quella madre sì buona, sì affettuosa per i suoi figli per chi aveva la fortuna di avvicinarla! Il mio sguardo s'incontrò lo stesso giorno con lo sguardo del maggior fratello, Benedetto, valoroso e modesto ufficiale, caro come tutta quella cara famiglia; i suoi occhi si fissarono sui miei, ma una sola parola non uscì da ambedue. Solo io lessi in quel malinconico sguardo "Mia Madre" e pensai io pure a tutta la somma di dolori che si preparavano a quella generosa. E quanti altri, di cui non conoscevo le madri, giacevano su quel campo di strage o mutilati, o morenti. Le donne di Varese supplivano alle madri dei nostri feriti, tra i quali non s'udiva un lamento, o se pur s'udiva tra gli operati dal ferro chirurgico era il grido di "Viva l'Italia!". Anche i feriti nemici dividevano le cure di quelle donne sante (13)". <\/em><\/p>\n <\/em>Pure con alcuni momenti di retorica,<\/strong> che tradiscono l'origine di prolusione<\/strong>, questo passo di Luzio è molto importante perché ci permette di affrontare uno spaccato reale di quanto avvenne in città, in mancanza di una gazzetta periodica, oltre che di conoscere le differenti reazioni che seguirono a questi episodi, tra le quali non deve essere trascurato che anche alcuni degli stessi austriaci "sposarono" la causa italiana, fatto solitamente occultato dalla storia ufficiale. Note. <\/p>\n <\/p>\n Busto di Carlo de Cristoforis Sembrerà strano che la città di Varese rispondesse in modo così sollecito: nell'Ottocento, la popolazione era sensibile alla causa nazionale, tanto è vero che, già, nel 1847, si era sollevata contro la dominazione straniera, quando, l'allora feldmaresciallo Radetzky, che avrebbe represso i Milanesi, l'anno successivo, in occasione delle "Cinque giornate", […]<\/p>\n","protected":false},"author":1,"featured_media":28903,"comment_status":"closed","ping_status":"open","sticky":false,"template":"","format":"standard","meta":{"footnotes":""},"categories":[51],"tags":[],"yoast_head":"\n
della famiglia Morosini<\/span><\/div>\n
Ai veterani del '49, si aggiungevano alcuni varesini, Carlo De Cristoforis, i fratelli Bronzetti, Ernesto Cairoli (5), Vincenzo Adamoli<\/strong>, nonché altri provenienti dal Piemonte e da altre terre della Lombardia e del Veneto destinati a divenire famosi sia per le imprese in questione, sia per la loro attività culturale e politica dopo l'Unità, come Emilio Visconti Venosta<\/strong>, Giacomo Griziotti<\/strong> ed Ippolito Nievo<\/strong> (6), il poeta soldato che, più a lungo degli altri, sostò a Varese<\/strong> dove<\/strong>, tra l'altro, compose molti<\/strong> versi<\/strong> che confluirono più tardi nei suoi "Amori Garibaldini"<\/strong><\/em>.
A lui fu commessa la cura di portare in salvo i pochi pezzi che erano stati finalmente concessi ai "Cacciatori delle Alpi"<\/strong> e farli entrare in città, con alcuni compagni: così Nievo arrivò prima di Garibaldi nel borgo<\/strong> e vi soggiornò per alcuni giorni.<\/p>\n
<\/strong>Tramite Visconti Venosta Cavour mandò ai Varesini questo dispaccio da trasmettere alla popolazion<\/strong>e: "Tutto oggi è disciplinato in Italia: la quiete al pari dell'azione. L'insurrezione Lombarda sarà animata da quale nuovo e mirabile spirito italiano che, col segreto della concordia, ci farà trovare il segreto della fortuna. Nessun disordine verrà a turbare il sublime spettacolo della libertà; nessun impeto cieco verrà a disordinare l'organismo civile del paese); nessuno spirito di improvvida reazione presumerà di considerare come il trionfo di un partito quello che invece è il trionfo di una società tutta intera"<\/em>.<\/p>\n
Sulla viva partecipazione dei cittadini"Nessuna testimonianza – <\/em>prosegue a questo punto Luzio<\/strong> – può valere quella di Emilio Visconti Venosta, tanto più preziosa allo storico per l'autorità dell'uomo rifuggente da declamazioni e da piaggerie. Egli, la sera del 26 maggio" <\/em>ringraziava la popolazione con il seguente proclama: "Il nemico è in ritirata. I Cacciatori delle Alpi si sono battuti con un coraggio degno del Prode che li comanda e della causa che difendono. E voi avete tenuto un ammirabile contegno. Tutta la gioventù è accorsa a prendere un fucile, a domandare la battaglia, a difendere le barricate. Ogni famiglia gareggiò nel porgere soccorsi ai combattenti e mezzi alla difesa. La Lombardia seguiterà il vostro esempio".<\/p>\n
Fra i primissimi caduti<\/strong> si contava Ernesto Cairoli<\/strong> che, pochi giorni prima della battaglia, quasi presago della fine, aveva vergato il suo testamento<\/strong> (10), aprendolo con quest'apostrofe: "Raccomando anzitutto al Sommo Iddio degli eserciti la causa dell'Italia e credo che sia per trionfare, perché giusta e santa"<\/em>, siglandolo, infine, con quest'altra: "Il cielo m'ajuti (<\/em>sic), conservi lungamente in vita mia madre e i miei fratelli. Salvi sempre per l'Italia Libera ed Indipendente".<\/p>\n
<\/em>Vale la pena, a questo punto, di riportare una parte di quello che scrive il Luzio a proposito del passo appena letto di Garibaldi<\/strong>. "Di tanta umanità verso i prigionieri e i feriti austriaci, la testimonianza più commovente mi venne fatto di leggere ripassando vecchi giornali, per racimolare notizie sulla sottoscrizione aperta da Garibaldi nel settembre del '59 per un milione di fucili onde armare la nostra risorta Nazione per le future conquiste nell'Italia meridionale e centrale. <\/em>Tra coloro che offrivano a Garibaldi il loro obolo per creargli un arsenale di guerra vi furono molti austriaci convalescenti negli ospedali lombardi<\/strong><\/em> e quella manifestazione costituiva, nella sua semplicità la prova più splendida dell'entusiasmo e della riconoscenza che la magnanimità di Garibaldi aveva ispirato agli stessi nemici…
<\/em>A che ricordare gli ostrogoti proclami, ostrogoti nella sostanza e nella forma che bistrattava la nostra lingua, inassueta (14) a tali brutalità sanguinarie di espressione, i proclami emanati dall'Urban per imporre estorsioni che si sarebbero appena potute consumare in una città di centinaia di mila abitanti e che furono mandate felicemente a vuoto dagli abili e coraggiosi stratagemmi del pretore Sopransi (15)?
<\/em>A che ricordare i ludibri di morte cui furono esposti i vostri (16) ostaggi, sacerdoti i più, chiamati dalla gioia oscena del bombardatore ad assistere alla pioggia delle granate e de'razzi scagliati sulla desolata Varese, mentre Sua Ecc. il Maresciallo cioncava allegramente il vino predato (17) e beava le orecchie coi concenti delle arie patriottiche italiane suonate a scherno dalla banda militare austriaca tra gli sghignazzamenti di chi, come al tempo degli Unni, dimenticava ogni ritegno d'umanità".<\/p>\n
Di certo, con la Battaglia di Biumo<\/strong> si aprì chiara la strada verso la disfatta austriaca di Magenta, il 4 giugno<\/strong>, cosicché gli alleati poterono entrare trionfanti a Milano,<\/strong> gesto simbolico e concreto al tempo stesso di una Lombardia per lo più pronta ad accogliere il governo sabaudo.
<\/strong><\/p>\n\n