{"id":34258,"date":"2017-03-13T09:31:20","date_gmt":"2017-03-13T09:31:20","guid":{"rendered":""},"modified":"2017-03-17T05:35:41","modified_gmt":"2017-03-17T05:35:41","slug":"un-architetto-alla-corte-degli-zar","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/un-architetto-alla-corte-degli-zar\/","title":{"rendered":"Un architetto alla corte degli zar"},"content":{"rendered":"
Un grande architetto<\/strong> che ha segnato la storia del Settecento, un disegnatore<\/strong> capace di avvertire il rapporto fra la natura e l'uomo, degno rappresentante dei nostri ultimi vedutisti. Ma anche un intellettuale<\/strong> pratico, mediatore tra tempi e culture nell'elaborazione di un linguaggio moderno internazionale<\/strong>. E tra i migliori interpreti di Palladio. Questo è stato il bergamasco cosmopolita Giacomo Quarenghi<\/strong>, morto il 2 marzo 1817 a San Pietroburgo, dove per quasi quarant'anni lavorò per la corte. <\/div>\n
Il bicentenario non passa inosservato<\/strong> e l'"Anno Q" parte con iniziative in contemporanea a San Pietroburgo, Mosca, Varsavia, Milano, Roma e nella sua terra natale. La Pinacoteca Züst di Rancate<\/strong> non vuole essere da meno, proponendo così al suo pubblico una mostra dossier, con al centro i disegni della cerchia quarenghiana conservati nelle raccolte degli architetti ticinesi: questo significa arrivare all'opera dell'architetto passando per gli artefici ticinesi che furono gli esecutori (e a volte i "traduttori") dei suoi disegni in opere architettoniche.<\/div>\n
Dato il rapporto strettissimo tra il progettista e gli artefici, si hanno a disposizione anche documenti piuttosto particolari,<\/strong> come l'Album Rusca Grimani, donato nel 1795 dall'architetto Luigi Rusca all'ambasciatore uscente della Repubblica di Venezia Zampiero Grimani (oggi conservato nell'Archivio del Moderno di Mendrisio), in cui è incluso il disegno raffigurante il prospetto dell'edificio progettato per accogliere, nel complesso dell'Ermitage di Sanpietroburgo, la copie delle logge vaticane di Raffaello<\/strong>, oppure l'incisione raffigurante la Borsa di Sanpietroburgo, direttamente commissionata da Quarenghi all'incisore ticinese Giacomo Mercoli.<\/div>\n
La serie di disegni permette non solo di apprezzare le differenze di segno e di stile<\/strong> tra Quarenghi e i suoi collaboratori, ma anche particolari declinazione del disegno di Quarenghi secondo le diverse esigenze: particolarmente interessanti, da questo punto di vista, sono i disegni di un muro di confine, dove la semplicità del manufatto architettonico è compensata dall'inserimento di figurine, così da animare la veduta.<\/div>\n
Ma qual è stata l'avventura europea di questo campione del neoclassico? <\/strong><\/div>\n
Intrapresa l'attività di pittore a Bergamo mentre i suoi genitori volevano farne un avvocato o un sacerdote (come toccò ai fratelli), eccolo a Roma dal 1763 al 1770: prima allievo di Anton Raphael Mengs, poi con Stefano Pozzi, Paolo Posi, Vincenzo Brenna, Antoine Dérizet, Nicola Giansimoni. In quel tempo scopre i trattati del Palladio.<\/p>\n
«Non potresti mai credere – scrive a un amico – l'impressione che mi fece questo libro. Allora mi accorsi ch'io avevo ogni ragione di ritenermi mal diretto». Brucia i suoi disegni e si mette a copiare i monumenti antichi romani. <\/strong>Comincia ad affermarsi: caminetti, decorazioni, restauri, tombe (fornisce anche i disegni per il mausoleo di Clemente XIII, poi eseguito da Canova). <\/p>\n
Nel 1771 viaggia in Italia<\/strong>: «Firenze, Vicenza, Verona, Mantova, Venezia – noterà – furono i luoghi dove mi fermai il più, per essere quivi dove più che altrove abbondano le belle fabbriche del Palladio, del Sanmicheli, di Giulio Romano, ed alcuni altri di simil fatta. Ho pigliato il buono ovunque l'ho saputo rinvenire». Poi la svolta. Johann Friedrich Reiffenstein lo ingaggia per conto di Caterina II «con onorificentissime condizioni». <\/p>\n
Arriva a Pietroburgo nel 1779<\/strong> e – sin dai primi anni – si fa notare per l'impegno febbrile che contraddistinguerà il suo servizio alla zarina e ai suoi favoriti. <\/div>\n
<\/strong> Quasi una ininterrotta sinfonia di ritmi, misure, prospetti, diretta da una mente geniale. Da ricordare almeno il Teatro dell'Ermitage e la sede dell'Accademia delle Scienze (1787), la Farmacia di Corte (178588), il palazzo inglese nel parco di Peterhof (1781-89), la Banca di Stato (1790), e dopo la morte di Caterina (1796), subentrati nel governo il figlio Paolo I e dopo di lui Alessandro I, il palazzo di questi a Carskoe Selo (179296), le botteghe presso il Palazzo Anickov (1805), l'Istituto Smol'nyi (1808). Nel 1810 un suo volume – Edifices construits à Saint-Pétersbourg d'après les plans du Chevalier de Quarenghi – consacra la fama internazionale della sua opera, che reinterpreta il passato, insiste su grandi linee ed equilibrio, attinge originalità non dalla novità degli elementi, ma dal loro ordine. <\/div>\n
Durante i 40 anni in Russia ritornò a Bergamo raramente<\/strong>, pur serbandone vivo ricordo, mantenendo relazioni con familiari e amici, alcuni invitati a seguirlo in Russia. L'ultimo soggiorno orobico è nel 1810-11. Fu accolto a festa e ricevette l'incarico di disegnare per Napoleone un arco di trionfo (poi non ultimato per il mutare delle circostanze politiche). Inoltre, nel luglio 1811, vedovo da anni (la prima moglie Maria Mazzoleni, era morta nel 1793), sposò Maria Bianca Sottocasa (forse non le seconde nozze, ma le terze o le quarte, considerando un "Contratto di Nozze" con Caterina Aegerden firmato l'8 ottobre 1794 «andato in fumo» e un probabile matrimonio con la luterana Anna Caterina Conradi dalla quale ebbe una figlia). Quindi il definitivo rientro in Russia. L'attendevano gli ultimi anni: ancor attivi, anche se la salute si affievoliva, forse insieme all'entusiasmo che aveva concretizzato il sogno dell'imperatrice rinnovando il volto di una capitale.<\/div>\n
Ai visitatori della Zust è in oltre contemporaneamente proposta una significativa piccola mostra del filone "La Züst dopo Züst", dedicata a Madre triste<\/strong><\/em>, dipinto di Luigi Rossi <\/strong>recentemente acquisito dalla Pinacoteca. L'opera è un esempio particolarmente significativo di quel realismo sociale diffuso in ambiente lombardo tra la fine dell'Otto e l'inizio del Novecento. Per evidenziare il contesto culturale in cui il dipinto si colloca, sono state riunite nella balconata altre opere e testimonianze artistiche dell'epoca, tra cui il bellissimo quadro intitolato Alveare, ritratto di bambina in una casa di ringhiera milanese. Si riesce così a illuminare un momento tanto drammatico quanto fecondo che vide la nascita del socialismo umanitario e delle iniziative assistenzialiste, non solo nella metropoli milanese, ma in tutto il territorio lombardo (Como compresa).<\/div>\n
Anche questa volta la Pinacoteca di Rancate non delude e dimostra come si possa realizzare, anche in spazi ridotti, mostre curate e di alto profilo, appassionando un pubblico variegato. <\/div>\n