{"id":42947,"date":"2018-01-31T13:30:20","date_gmt":"2018-01-31T12:30:20","guid":{"rendered":"http:\/\/artevarese.com\/?p=42947"},"modified":"2018-01-31T13:03:52","modified_gmt":"2018-01-31T12:03:52","slug":"greenwich-village-stories-prendono-vita-al-maga","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/greenwich-village-stories-prendono-vita-al-maga\/","title":{"rendered":"Greenwich Village Stories prendono vita al MA*GA"},"content":{"rendered":"
Invitato a indagare il cinema sperimentale newyorkese durante il ciclo di incontri domenicali Intorno a Kerouac<\/em><\/strong>, che si tiene al MA*GA, Enrico Camporesi<\/strong><\/a> sceglie una formula vincente: alterna la sua analisi alla proiezione di tre film<\/strong> che coprono un arco di quindici anni<\/strong> (sono girati tra il 1950 e il 1964) e mostrano un cinema diretto, improvvisato<\/strong>.\u00a0 Cosa vuole dimostrare lo studioso? Che esiste un aspetto topografico della citt\u00e0 di New York che lega i tre film: il fenomeno che ha preso il nome di gentrification<\/strong><\/a>. <\/strong><\/p>\n <\/p>\n A New York<\/strong>, a partire dalla seconda met\u00e0 dell\u2019Ottocento, si sviluppa lo stile di vita bohemien<\/strong>. Negli anni Venti del \u2018900, poi, gli scrittori americani non sono stabili a New York, ma si recano a Parigi. Vi ritornano nel secondo dopoguerra,<\/strong> in particolare nel Greenwich Village<\/strong><\/a>, che diventa un luogo di sviluppo artistico notevole come dimostrano i tre film presi in esame da Camporesi. Il primo film proiettato \u00e8 Mounting tension<\/em><\/strong> (1950) di Rudy Burckhardt<\/strong><\/a>, fotografo svizzero emigrato negli Usa negli anni Trenta. Deve la sua fama alle foto di paesaggio urbano e ai diversi documentari che realizza. In questa pellicola ricalca stilemi del cinema muto, parodizzandolo, mettendolo a distanza. L\u2019opera presenta un grande senso dell\u2019umorismo e mostra, tra i set, anche il MOMA di New York.<\/p>\n Il secondo film si intitola The anatomy of\u00a0 Cindy Fink <\/em><\/strong>(1960) di Patricia Jaffee, Paul Leaf e Richard Leecock<\/strong>. Si tratta di una produzione in cui si vuole cogliere, quasi come in un reportage, la protagonista: una danzatrice. La camera segue quasi in soggettiva Cindy Fink<\/strong>, creando il cinema diretto, documentario tipico della New York di quegli anni. In parte il film \u00e8 girato nell\u2019atelier di Alfred Leslie<\/strong><\/a>, pittore e regista noto per i suoi ritratti giganteschi. Lo spazio di produzione dell\u2019arte \u00e8 sempre presente in queste produzioni cinematografiche, diventando un luogo di collaborazione tra artisti.<\/p>\n <\/p>\n L\u2019ultimo film presentato, The last clean shirt<\/em><\/strong> (1964) \u00e8 proprio di Alfred Leslie<\/strong>: Camporesi ha voluto proporlo perch\u00e9 \u00e8 l\u2019opposto di On the road<\/em><\/strong> di Kerouac, sembra una parodia di un road movie<\/strong>. Il viaggio che ci viene mostrato\u00a0 \u00e8 ridicolo e derisorio, considerando che inizia e finisce a Manhattan e dura pochi isolati. Realizzato con la collaborazione di Frank O\u2019Hara<\/strong><\/a>, il film lavora sulla frustrazione dello spettatore: il viaggio in auto si ripete, identico, ben tre volte.<\/p>\n Il periodo del Greenwich Village<\/strong> si chiude con questa produzione che non \u00e8 un film d\u2019epoca, ma una ricostruzione d\u2019autore, fatta da Leslie stesso in seguito all\u2019incendio del proprio atelier.<\/p>\n Le Greenwich Village Stories<\/strong> sono bizzarre, ironiche, piene di musica jazz. Esempio di un momento di fervore culturale irripetibile.<\/p>\n
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