{"id":67830,"date":"2022-10-29T09:00:16","date_gmt":"2022-10-29T07:00:16","guid":{"rendered":"https:\/\/www.artevarese.com\/?p=67830"},"modified":"2022-10-28T12:07:02","modified_gmt":"2022-10-28T10:07:02","slug":"andy-warhol-la-pubblicita-della-forma","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.artevarese.com\/andy-warhol-la-pubblicita-della-forma\/","title":{"rendered":"Andy Warhol. La pubblicit\u00e0 della forma"},"content":{"rendered":"
Milano – Andy Warhol (ma nasceva Warhola, in una famiglia contadina emigrata dai Carpazi a Pittsburg, centro industriale della Pennsylvania) avrebbe apprezzato moltissimo questa mostra nel capoluogo lombardo. Innanzitutto per il luogo (\u201clocation\u201d per favore no) dove \u00e8 stata allestita: non un ambiente paludato o un aristocratico palazzo, bens\u00ec la Fabbrica del Vapore che era l\u2019officina della Carminati & Toselli dove si producevano, pi\u00f9 di cent\u2019anni fa, carrozze di tram e di treni.<\/p>\n
E anche Warhol \u2013 si sa \u2013 non lavorava in un \u201catelier\u201d ma nella \u201cFactory\u201d opportunamente distribuita in spazi diversi, confacenti al suo multiforme fare artistico. Spazi necessariamente vasti senn\u00f2 sarebbe stato difficile sistemare le sequenze delle serigrafie mai identiche dato che Warhol in ognuna aggiungeva un segno diverso, foss\u2019anche solo una sfumatura cromatica, che diventava un prima e un dopo, una diversit\u00e0 dunque dall\u2019archetipo freddo, impassibile, \u201cImmagine\u201d che resta tale; dietro non esiste una storia. O, al massimo, si pu\u00f2 immaginare la storia banale di tutti i giorni, fatta di soldi per \u201ccomprare che \u00e8 molto pi\u00f9 americano di pensare\u201d, di cibi, e qui il pensiero va subito alla mitica \u201cCampbell\u2019s Tomato soup\u201d<\/strong>\u00a0 e di bevande (Pepsi e Coca-Cola per \u201cpar condicio\u201d), tutti prodotti di incessante consumo che Warhol fissa senza volerne fare una contestazione, ma solo la constatazione di un sistema gi\u00e0 in auge negli anni Sessanta in America e destinato presto a diffondersi ovunque.<\/p>\n Attratto dal cinema, che affront\u00f2 senza alcuna regola tradizionale facendo durare i suoi film anche pi\u00f9 di sei ore e con artisti che tali erano solo per lui, Andy trov\u00f2 proprio in codesto mondo figure perfette per rappresentare la sua idea della societ\u00e0 di massa; gli attori che tutti conoscevano \u2013 Liz, Marlon Brando, Yul Brynner, Stallone e Schwarzenegger -,\u201cstars\u201d dunque, perfettamente calate nel sistema consumistico e globale. Appaiono belli (ma non dannati anche se in fondo lo furono), sono icone e come tali sono fissate senza caratterizzazione espressiva: anche l\u2019arcinota Marilyn non ne \u00e8 intaccata e diventa \u201csolo una ragione di superficie\u201d come Warhol stesso afferm\u00f2 in \u201cThe Philosofy of Andy Warhol (from a to B and Back Again)\u201d, il libro che pubblic\u00f2 nel 1975.<\/p>\n Alla mostra della Fabbrica del Vapore (a cura di Achille Bonito Oliva con la collaborazione di Edoardo Falcioni) di Marilyn sono presenti numerose versioni serigrafiche create in momenti diversi; presente \u00e8 anche la serie di ritratti, altrettanto famosi, di Mao\u00a0<\/strong> pietrificato e impermeabile: Warhol aveva gi\u00e0 capito tutto della Cina!<\/p>\n