Olio su tavola, cm 42 x 32
14 stazioni dipinte su tavola, firmate
Inv. 208 (1/14), Varese, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, chiesa dell'Ospedale
La serie inedita della Via Crucis (Gesù flagellato, Gesù caricato della Croce, Gesù cade per la I volta, Gesù incontra sua Madre, Simone di Cirene, La Veronica asciuga il Volto, Gesù cade per la II volta, Ammonizione alle donne, Gesù cade per la III volta, Gesù è spogliato delle vesti, Gesù inchiodato alla croce, Gesù muore in croce, Deposizione dalla croce, Deposizione nel sepolcro), dipinta da Carlo Cocquio per la Chiesa di San Giovanni, risulta giocata sui toni del verde, eccetto che per le aureole dorate delle figure sante. Lo spazio nel quale sono inseriti i personaggi è essenziale, scarno e privo di elementi decorativi o descrittivi, in modo tale da focalizzare l'attenzione del riguardante sulle sole figure dei protagonisti del racconto.
Ad inspessire e rendere tridimensionali le figure, intevengono calibrati rialzi cromatici e veloci tocchi di chiaro. Interessanti sono i dialoghi di sguardi tra i protagonisti che si vengono a creare in taluni pannelli che, pur nelle ridotte dimensioni e nella scarna composizione, risultano efficaci e pienamente aderenti al linguaggio del Cocquio dei primi anni Sessanta.
Acquerello su carta
Basilica di San Vittore in Varese
Acquerello su carta, cm 49 x 69
Iscrizione in basso: Sergio Colombo '87 San Vittore
Inv. 200/1, Varese, A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione del pittore Sergio Colombo all’Ospedale di Varese
Chiesa di Sant'Antonio Abate alla Motta
Acquerello su carta, cm 49 x 69
Iscrizione in basso: Sergio Colombo '87 Sant'Antonio Abate alla Motta
Inv. 200/2, Varese, A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione del pittore Sergio Colombo all’Ospedale di Varese
Chiesa dei Santi Pietro e Paolo in Biumo Inferiore
Acquerello su carta, cm 69 x 49
Iscrizione in basso: Sergio Colombo '87 SS. Pietro e Paolo
Inv. 200/3, Varese, A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione del pittore Sergio Colombo all’Ospedale di Varese
Chiesa della Madonnina in Prato in restauro
Acquerello su carta, cm 69 x 49 cm
Iscrizione in basso: Sergio Colombo '87 Madonnina in prato in restauro
Inv. 200/4, Varese, A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione del pittore Sergio Colombo all’Ospedale di Varese
Chiesa di San Giorgio in Biumo Superiore
Acquerello su carta, cm 69 x 49
Iscrizione in basso: Sergio Colombo '87 San Giorgio
Inv. 200/5, Varese, A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione del pittore Sergio Colombo all’Ospedale di Varese
Chiesa di San Giuseppe in Varese
Acquerello su carta, cm 69 x 49
Iscrizione in basso: Sergio Colombo '87 San Giuseppe
Inv. 200/6, Varese, A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione del pittore Sergio Colombo all’Ospedale di Varese
Olio su tela, cm 67 x 47
Inv. 66, Varese, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, chiesa di San Giovanni
Il dipinto, ubicato nella sagrestia della chiesa di San Giovanni dell’Ospedale di Varese, raffigura a mezzo busto San Giovanni evangelista, con gli occhi rivolti al cielo nell’atto di ricevere l’ispirazione per stendere il Vangelo.
Emergono dall’opera in questione numerosi caratteri di ossequio alla pittura dei maestri del passato ma con una decisa semplificazione dei caratteri descrittivi ed una sorta di appiattimento fisionomico ed atmosferico del personaggio, ben lontano dal risultato raggiunto dallo stesso autore nel convincente ritratto del medico Broggi (Inv. 67).
L’opera, in particolare, sembra ispirarsi ad un modello iconografico di duratura fortuna: un San Giovanni evangelista, riferito alla cerchia del Guercino (entrato nel patrimonio della Pinacoteca Ambrosiana nel XX secolo), sul quale sono stati esemplari un’infinita serie di declinazioni.
L. Borri riferisce che il dipinto fu donato all’Ospedale nel 1855 dal pittore Gerolamo Daverio Luzzi, del quale ad oggi purtroppo risultano scarse le notizie biografiche.
Olio su tavola, cm 48 x 58
Firmato e datato in basso a sinistra: D. De Bernardi 1931
Inv. 170, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Discreto stato conservativo
Il dipinto, caratterizzato dall'inconfondibile maniera franta e da tocchi di colore stesi in modo rapido, appartiene ad uno tra i più grandi paesaggisti locali, in grado di assurgere a livello di riferimento nazionale per questo particolare genere: Domenico De Bernardi, di cui il Comune di Varese possiede una serie di opere di grande interesse, come Pomeriggio invernale (1936) e Aprile sul Bardello del 1937. Nello stesso anno De Bernardi eseguì l’Interno del mio studio a Besozzo, in cui il pittore impiega, seppur in una veduta d’interno, l’analoga composizione ariosa che contrassegna le sue vedute di paesaggio.
Olio su compensato, cm 23 x 32
Firmato in basso a sinistra: Domenico De Bernardi
Iscrizione sul retro: Domenico De Bernardi / 1927 / Genova
Inv. 108, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione dell’artista
Giorgio Seveso ha scritto di lui: “La sua adesione al genius loci nostrano, cioè ai termini e al gusto generali di una pittura lombarda per eccellenza, volutamente o risolutamente naturalistica, priva di ogni stravolgimento avanguardistico, di ogni teorizzazione radicale, è assoluta e totale, e ce lo consegna oggi come uno dei protagonisti di più robusta coerenza nella nostra pittura del Novecento, tuttavia, che anche per lui fu sempre istintivamente e sinceramente “antinovecentista”, i cui sentimenti, la cui adesione limpida alle circostanze del paesaggio e all'amore costante per il visibile naturale sono argomenti di distinzione, senza mai cedimenti, oscillazioni, travestimenti (…) Un postimpressionismo che, appunto in Lombardia più che altrove, sfuggendo i rischi e le vertigini del formalismo, sceglier di restare legato ai temi e agli spunti di una relazione d'affetto e di chiarezza descrittiva tra la visione e la natura, il paesaggio e l'interno domestico (...)”.
Gessetti su carta, cm 44 x 58
Firmato in basso a sinistra: F. Gariboldi
Inv. 122, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione dell’artista
Pastello su carta, cm 40 x 28
Inv. 83, Varese, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Il protagonista, secondo l’iconografia tipica dell’autoritratto d’artista, fissa lo sguardo pungente in quello del riguardante. Messo a punto il trattamento lievemente sfocato ed avvolgente della superficie pittorica, l’autore raggiunge qui un felice esito complessivo, inserendosi nella consolidata tradizione accademica esemplata sul coevo Autoritratto di Giorgio Belloni.
L’opera è menzionata quale “autoritratto di Federico Gariboldi” già negli inventari del patrimonio dell’ente ospedaliero di Varese del 1968 e i quello più recente compilato nel 1997.
Giunto sino a noi in discreto stato conservativo e presumibilmente in quella che dovrebbe essere la cornice originaria, l’opera rivela un’alta qualità esecutiva e una convincente indagine psicologica del personaggio.
Complessa risulta, a questo primo livello di indagine, la datazione dell’opera che, smontata dal vetro e dalla cornice, potrebbe rivelare sul retro qualche iscrizione autografa o qualche indicazione cronologica.
Alla celebrata ritrattistica di grandi autori come Giuseppe Barbaglia (1841 - 1910), Adolfo Ferragutti Visconti (1850 - 1924) ed Emilio Longoni (1859 - 1932) rimanda l’opera qui presa in esame sia per la generale impostazione dell’immagine, con il fugace scatto laterale del personaggio, sia per la morbida superficie eseguita all’insegna dei modi più mossi e vaporosi, memori della lezione della Scapigliatura lombarda.
Forse perchè non costretto dal dover riprodurre pedissequamente un’immagine gratulatoria esemplata su uno scatto fotografico, il Gariboldi esce dai ranghi imposti dalla ritrattistica d’occasione, concedendosi una maniera costruita da tratti vibranti e conquistando in quest’opera un linguaggio decisamente più sciolto e naturale, quasi mondano verrebbe da dire, rispetto agli altri dipinti della raccolta di benefattori dell’Ospedale cittadino.
In base alle ricerche condotte sino a questo punto l’autoritratto potrebbe essere entrato a far parte della quadreria del nosocomio come liberale donazione da parte dello stesso autore.
Olio su tela, cm 108 x 128
Firmato in basso a sinistra: G. LENTINI/ 1932
Inv. 105, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Olio su tela, cm 39 x 31
Varese, A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Opera documentata
Olio su tela, cm 39 x 31
Firmato in basso a sinistra: Filippo Massaro
Inv. 127, Varese, A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Discreto stato conservativo
Olio su legno, cm 49 x 59
Firmato e datato in basso a sinistra: G. Montanari/ 30
Inv. 124, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Discreto stato conservativo
Decorazione musiva, cm 285 x 400
Firmato in basso a sinistra: G. MONTANARI PINXIT
Iscrizione a destra: MOSAICI D'AGNOLO U.
Inv. 219, Varese, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, Padiglione S. Maria del Monte
La decorazione musiva rappresenta la parabola evangelica del Buon Samaritano che soccorre e disseta l'uomo di Gerico incappato nei briganti.
La scena tratta dal Vangelo (Luca 10, 25-37) è ambientata entro il paesaggio varesino, già tante volte presente in altre opere del Montanari realizzate per il nosocomio cittadino. Sullo sfondo a destra, infatti, è visibile la salita al borgo di Santa Maria del Monte, mentre poco più in basso, sulla sinistra, è rappresentato il rudere della Torre di Velate.
Si è scelto di segnalare come datazione del pannello musivo il 1963, data di apertura al pubblico del Padiglione di Santa Maria.
L'opera si discosta egualmente tanto dall'evocazione intima di affetti, tipica di certa ritrattistica del Montanari, quanto dalla magniloquenza della pittura destinata a decorare gli spazi pubblici, settore quest'ultimo, nel quale l'artista fu, a Varese, indiscusso protagonista: Montanari infatti decora con storie didascaliche, celebrative e retoriche il Teatro Impero, il Palazzo delle Corporazioni, la Casa del Mutilato, il Palazzo Littorio elo stabilimento Hopplinger, oltra ad una serie di edifici privati: villa Mocchetti a San Vittore Olona e villa Martegani a Induno Olona.
Nell'opera musica di Varese ciò che prevale è l'aspetto simbolico della scena evangelica e la citazione del paesaggio sacromontano.
Olio su tavola, cm 178 x 92
Firmato e datato in basso a sinistra: G. Montanari 1942
Iscrizione commemorativa dipinta in basso: DONO DELLE FAMIGLIE DI GIUSEPPE GIORDANO PRIMO LEVA
Inv. 153, Varese, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Ex Chiesa di Sant'Elisabetta
Il dipinto firmato dal pittore Giuseppe Montanari rappresenta la Madonna con il Bambino all'interno di un ambiente domestico e alle cui spalle si spalanca un paesaggio invernale.
L'opera pare rifarsi allo stile dei Primitivi italiani.
La tessitura cromatica, basata su tinte chiare e squillanti, richiama la sua attività di frescante, nella quale lo sappiamo attivo per importanti commissioni cittadine.
La committenza del dipinto si ricollega al celebre atto munifico del cavalier Cattaneo che in data 4 febbraio 1958, indirizzava una missiva al Commendator Giordano Leva, Presidente dell’Ospedale di Circolo di Varese, nel quale con tono amichevole e confidenziale sottolineava che “a titolo personale e quale Amico, mi hai manifestata la Tua entusiastica approvazione al progetto che mio Nipote, il dott. Mario Beretta, per mio desiderio ed incarico, Ti ha comunicato, e cioè di far costruire e donare all’Ospedale di Circolo un Padiglione di un centinaio di letti, destinato al reparto “cronici” (con eventuale suddivisione a scopo gerontologico) di cui ho sentito, in questi ultimi tempi, vivamente lamentare la mancanza.
Molto sensibile alla Tua manifestazione di apprezzamento e di amicizia, Te ne ringrazio sentitamente e Ti prego di voler senz’altro predisporre una convocazione opportuna, perché dell’opera possano essere poste le basi concrete, affinché il suo realizzo proceda con sollecitudine. Permettimi solo di aggiungere che è desiderio dei miei Famigliari che l’intestazione del padiglione sia «Padiglione Giuseppina e Achille Cattaneo»”.
L’inaugurazione del padiglione intestato ai Cattaneo si tenne il 17 giugno 1960 con un discorso del Presidente Giordano Leva che, nel ringraziare sentitamente i due benefattori, sottolineava l’importanza sociale di tale costruzione dedicata alla geriatria, scienza che si stava sviluppando in quel periodo.
Tempera su tela
Firmato in basso a destra: G. Poloni
Iscrizione in basso: HI TRES UNUM SUNT
Inv. 210, Varese, A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Chiesa di San Giovanni Evangelista, parete sinistra
A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Tempera su tela
Firmato in basso a destra: G. Poloni
Iscrizione in basso: DILEXIT NOS
Inv. 209, Varese, A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Chiesa di San Giovanni Evangelista, parete destra
A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Tempera su tela
Firmato in basso a sinistra: G. Poloni
Inv. 215, Varese, A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Chiesa di San Giovanni Evangelista, zona absidale, retro l'altare
A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Le tre tele, conservate nella chiesa di San Giovanni, risalgono al 1951 e chiudono il ciclo varesino del pittore di Martinengo Girolamo Poloni come ricordato anche in un piccolo volume realizzato in occasione del 50° anniversario dalla morte dell'autore1.
La tela incorniciata nella parete sinistra dell'edificio sacro varesino raffigura il Santo sulla spiaggia dell'isola di Patmos mentre riceve l'ispirazione da Dio Padre, Cristo e lo Spirito Santo per scrivere l'Apocalisse. L'aquila, suo attributo iconografico, gli porge dal becco la penna, mentre in basso tre angeli, eseguiti a monocromo per fingere un rilievo scultoreo, reggono un cartiglio: “HI TRES UNUM SUNT”.
Sulla parete opposta figura la tela con il Sacro Cuore di Gesù che richiama la pala d'altare con medesimo soggetto iconografico realizzata da Lodovico Pogliaghi per la cappella
Olio su tela, cm 78 x 98
Inv. 259, Luino, Ospedale Luini Confalonieri
Olio su tela, cm 370 x 430
Inv. 262, Luino, Ospedale Luini Confalonieri
L'episodio evangelico è interpretato dal pittore Giacomo Prevosto, con un linguaggio moderno e con contorni netti.
Nato in Val Vigezzo, l'artista arriva sulle sponde del Lago Maggiore come sfollato di guerra, prendendo sede a Villa Appelius a Maccagno Inferiore. Impegnato in precedenza a Milano come decoratore e restauratore, fu allievo di Carlo Fornara. Espone per la prima volta a Luino nel 1944 raccogliendo fin a subito il consenso del pubblico e della critica.
«Nei dipinti di Prevosto a cavallo dei decenni Quaranta/ Cinquanta - ha scritto Basilico Cadoni sulla rivista "il Rondò" – prevale, a parte qualche diverso saltuario excursus, il concetto di subordinazione della natura all'uomo rispetto al paesaggio circostante che assume la funzione di quinta melodica».
Nei paesaggi, l'artista predilige la composizione orizzontale e l'atmosfera che si respira è di stasi e di quiete, come in "Tramonto sul lago" del 1970.
Impegnato in tutti i generi artistici come il paesaggio, la città industriale e l'arte sacra, che Prevosto è tornato ad affrontare più volte nel corso della sua produzione, l'autore è stato ricordato con una mostra postuma nel 1977, sei anni dopo la sua scomparsa, e più di recente con un'antologica allestita a Palazzo Verbania di Luino.
«Io cerco la statica anche nel movimento - spiega l'artista nei suoi scritti - Il movimento è un paradosso in un'arte immobile per definizione. Contrariamente a quanti dicono molti, io penso che il ritmo non sia movimento. Il ritmo può essere competenza di qualsiasi agente plastico: linea, luce, colori, valori, toni, ecc.».
Olio su tela, cm 198 x 143
Inv. 179, Varese, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, chiesa dell’Ospedale
Il dipinto rappresenta Cristo deposto dalla croce che, sorretto da tre figure e parzialmente avvolto nel sudario, sta per essere sepolto. A suoi piedi, la Maddalena, vestita di verde e di rosso e con i lunghi capelli sciolti sulle spalle, cosparge di unghenti i piedi del Cristo (sul pavimento roccioso sono visibili la corona di spine e il contenitore di olii profumati, tipico attributo iconografico della Maddalena). Sul fondo, la Vergine dolente e con il capo velato di blu, è sorretta da una Pia donna.
Menzionata sin qui soltanto dallo storico Luigi Borri, che nel suo volume la cita come “quadro dipinto da Gian Battista Ronchelli, esistente nella chiesa dello spedale”, l’opera presa in esame rientra tra le quattro più antiche, di soggetto sacro, menzionate dalle fonti, all’interno del patrimonio dell’ente ospedaliero.
L’elenco dei dipinti appartenenti alla chiesa di San Giovanni, all’inizio del XX secolo, si trova nel volume di Luigi Borri: l’Assunzione della Madonna (riferita al Magatti), la Flagellazione di Cristo, San Carlo visita gli appestati (di Francesco Innocenzo Torriani) e la Deposizione di Cristo, tutti dipinti che vantano una considerazione storiografica decisamente modesta.
Giunta sino a noi in mediocri condizioni conservative, l’opera risulta guasta soprattutto nella porzione corrispondente al corpo del Cristo deposto, e, in misura maggiore, nello sfondo dove una densa patina oscurante nasconde i volti degli angeli dolenti e della Vergine.
Evidenti riferimenti alla produzione del pittore nativo di Castello Cabiaglio si riconoscono nell’opera qui presa in esame, soprattutto se si confronta il dipinto dell’Ospedale varesino con il Compianto su Cristo deposto dalla croce recentemente riferito al Ronchelli e ancora conservato presso la chiesa parrocchiale di Castello Cabiaglio.
Innegabili sono pure i riferimenti tanto al classicismo carraccesco (non va dimenticato, il discepolato romano del Ronchelli durato dal 1733 al 1738) quanto alla produzione dei lombardi della generazione precedente. A tal proposito si confronti il Cristo morto sorretto dalle quattro Marie, eseguito da Ercole Procaccini nel 1650 per l’antico altare dell’oratorio del Luogo pio delle Quattro Marie, sito in corrispondenza dell’attuale via Pattari a Milano. Come in questo dipinto, anche nella tela varesina la composizione trattenuta e severa, predilige un registro cromatico piuttosto cupo in ossequio alla produzione del Cerano e di Giulio Cesare Procaccini.
Per tentare di riallacciare l’opera ad un quadro storiografico generale, può essere d’aiuto il riferimento all’ampio profilo biografico stilato da Simonetta Coppa riguardante Giovanni Battista Ronchelli (1715-1788). Secondo la studiosa, l’autore rientra nel territorio varesino - sua terra d'origine - dopo aver effettuato un viaggio di studio a Roma, e diviene collaboratore di Antonio Magatti. Nel corso del settimo decennio del secolo a causa del rallentamento di attività del Magatti, per motivi di salute, si afferma come artista principale dell'area intorno a Varese, ma viene ricercato anche nella zona di Bellinzona e di Casale Monferrato. Negli ultimi anni della sua carriera si allontana progressivamente dalla poetica barocchetta, avvicinandosi al nascente clima neoclassico.
Tuttavia, allo stato attuale degli studi, una conferma attributiva risulta del tutto prematura, tenendo anche in conto il silenzio della critica e la mancanza di documentazione riguardante la “vivace e malnota bottega” del Ronchelli.
Olio su tela, cm 68 x 49
Firmato e datato in basso a destra: Innocente Salvini 1973
Inv. 170, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Il pittore Innocente Salvini si dedicò più volte alla rappresentazione della casa-mulino di Cocquio Trevisago come testimoniano i dipinti eseguiti tra 1922 e 1978, assecondando il medesimo stile basato su contorni sfaldati e colori caldi. Il mulino – dove ha sede il museo intestato alla memoria del noto pittore che lì trascorse gran parte della sua vita – deve la sua attività alle acque del Viganella, modesto torrente che nasce a Orino, alle pendici del Campo dei Fiori.
Olio su tela, misure non pervenute
Firmato e datato in basso a destra: I. Salvini/ 1948
Inv. 169, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Opera rubata nel 2001
L'opera risulta essere una porzione del dipinto murale La spartizione della polenta in famiglia realizzato nel 1971 ad Arcumeggia.
Olio su tela, cm 165 x 241
Inv. 96, Varese, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
(in comodato d’uso presso il civico Museo di Arte Moderna e Contemporanea – Castello di Masnago)
La scena è inquadrata ai margini da figure accovacciate come quinte teatrali: mentre al centro del dipinto si dispiega la scena principale con l’elemosina di San Carlo, all’estremità intervengono alcune figure a movimentare lo schema compositivo ed emotivo. Sul lato sinistro, in particolare, il monumentale personaggio che offre la carità pare un ritratto, che potrebbe costituire una sorta di richiamo alla sequela delle opere di carità di San Carlo, sull’esempio delle quali proseguire l’assistenza espletata nel nosocomio varesino.
Il giovane accovacciato in braghe rosse e dalla possente muscolatura, invece, è quasi un brano fisso del pittore Francesco Innocenzo Torriani, essendo spesso presente in altri suoi dipinti come nelle tele con i miracoli di Sant’Antonio e come nella lunetta con San Carlo che istituisce le scuole della Dottrina cristiana (Lugano, chiesa di San Carlo) di cui si dirà più avanti.
Sull’altra quinta laterale della tela compare uno straordinario episodio di realismo. Il gruppo di fanciulli con la madre che allatta, quasi un blocco scultoreo impregnato di luce e costruito con tinte brillanti, distrae inevitabilmente dal soggetto principale, immerso nello sfondo bruno e ammantato di modestia. Anche questo secondo gruppo di figure laterali, che approfondisce lo spazio della tela non senza una qualche incongruenza tra i piani di profondità, ritorna sovente in altre opere del Torriani. Quest’ultimo brano pare richiamarsi al noto frammento del Miracolo di Clementina Crivelli Arese (Modena, Civica Galleria Campori), dipinto dal Cerano e raffigurante una donna che allatta e dunque generalmente noto come Carità.
La sopraccitata raffigurazione rivela dunque quanto sia profondo il debito dell’autore nativo di Mendrisio nei confronti dell’iconografia dei celebri “quadroni” del Duomo di Milano, dai quali desume a piene mani composizioni e singole figure.
L’opera in esame, infatti, visibilmente sensibile alle formule della produzione pittorica di Daniele Crespi e del Cerano, ma anche del Landriani e del Bonola, condivide con queste ultime uno spiccato gusto realistico e una certa attitudine allo spettacolare.
In particolare, sono indicative l’insistita caratterizzazione fisionomica di taluni personaggi e la contrapposizione speculare delle figure di quinta in primo piano, riprese dai cicli della Vita e dei Miracoli del beato Carlo.
Tuttavia qualche scarto qualitativo, fisiologico all’interno della “bottega familiare” dei Torriani, e qualche incomprensione dei più impegnativi modelli del Crespi e del Cerano rivelano il nostro autore ancorato e, in taluni casi, attardato su stilemi replicati in modo insistente.
Venendo alla vicenda storico-critica della tela, occorre ricordare che tra le scarse attestazioni riguardanti il dipinto, Luigi Brambilla cita la tela quale opera “d’un Procaccino”. La paternità a “uno de’ fratelli Procaccini da Bologna” è ripresa anche dal Borri3, cui segue un silenzio, da parte della letteratura critica, durato circa un secolo e, almeno in tempi recenti, favorito certamente dall’infelice collocazione del dipinto relegato nella cantoria della chiesa di San Giovanni dell’Ospedale civico di Varese.
Riferita alla produzione del pittore genovese Giovanni Maria Arduino per esserne poi definitivamente allontanata, l’opera è stata segnalata pochi anni orsono con la corretta attribuzione al Torriani e di recente riproposta al pubblico con la convincente circoscrizione cronologica al 1675, avanzata da Vanoli.
La scorretta menzione dei Procaccini, proposta in passato, rappresenta tuttavia un riferimento utile per comprendere la maniera pittorica e l’impianto teatrale della rappresentazione, il fresco naturalismo, i numerosi spunti descrittivi e il generale tono “penitenziale” dell’opera, derivato certamente da una profonda adesione agli ideali religiosi proposti da Carlo Borromeo.
Il dipinto, prima della definitiva acquisizione al Torriani, veniva dunque visto come un’opera pienamente rispondente alle direttive programmatiche dell’Accademia Ambrosiana e innestata nella maniera e nella tradizione iconografica dei cicli della Vita e dei Miracoli del beato Carlo, illustrati nei celebri “quadroni” del Duomo di Milano.
Proprio la Damiani Cabrini, del resto, ipotizza che Francesco Innocenzo Torriani abbia frequentato la rinata Accademia milanese, adeguandosi a stilemi pittorici caratteristici dei maestri gravitanti attorno alla celebre istituzione.
Tornando al dipinto in esame, la mancanza di stemmi araldici, che possano in qualche modo svelare la committenza da parte di qualche confraternita formatasi per sostenere opere di carità (ausilio iconografico, questo, che molto spesso compare nelle altre opere di Francesco Innocenzo Torriani, come le tele già nella cappella di Sant’Antonio nella chiesa di San Francesco a Lugano e oggi nei musei civici di Belle Arti della medesima città), rende problematico l’accertamento della sede primigenia della tela.
Tuttavia, come già sottolineato dalla Damiani Cabrini, il riferimento esplicito ad una iconografia pauperistica consente di immaginare l’originaria provenienza dell’opera dall’Ospedale dei Poveri di Varese, costituito nel 1567 da San Carlo.
Venendo a tracciare l’analisi figurativa dell’opera del Torriani, conviene subito sottolineare che, così come avviene in molte altre sue tele, la composizione è pensata prevalentemente su una linea orizzontale che lega le diverse figure protagoniste all’interno del racconto sacro.
La stessa regìa artistica è infatti presente nelle tele già nella cappella di Sant’Antonio nella chiesa di San Francesco a Lugano e oggi nei musei civici di Belle Arti della medesima città.
Olio su tela, cm 118 x 137
Seconda metà del XVII secolo
Iscrizione eseguita a pennello: “EGO PONTIUS PILATUS IUDEX IN IERUSALEM/ sub potentissimo Caesare Tiberio cui foelix faustu sit imperium cum sederem, pro tribunali ut ius omni/ bus et Sjnagogae Iudaeorum dicerem audita et cognita causa IESU NAZARENI quem Vinctum/ Iudaei adduxerunt sic iudico quando quidem arrogantibus Verbis fecit filium Dei et se Regem Iudaeorum/ praedicavit tametsi pauperrimis parentibus fit prognatus et se templum Salomonis destructurum dixit cum/ duobus latronibus ad crucem damnetur/ Hoc est inventum Viennae Austriae sub terra lapidi/ incisum
“IUDICIUM SANGUINARIUM IUDE/ORUM CONTRA IESUM CHRISTUM/ SALVATOREM MUNDI”
Inv. 99, Varese, A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
La tela rappresenta Cristo, spogliato delle proprie vesti ed incorato di spine, seduto davanti a Ponzio Pilato e al sacerdote del tempio Caifa. Tutt'intorno si svolge il dialogo tra i sacerdoti che reggono cartigli con inscritte le frasi del dibattito e della sentenza. Sullo sfondo, a sinistra, le architetture della città di Gesusalemme.
Il Borri, a proposito della chiesa di San Giovanni, nella quale ancora oggi si trova il dipinto in questione, ricorda: “Riedificandosi lo spedale, nel 1830, vedeva tolta l'abside, e rimpicciolita la sagrestia così, da essere resa assai angusta, incomoda, e disacconcia, con niuna possibilità futura di un ingrandimento purchessia. In quell'anno medesimo, Gerolamo Pestoni, varesino, vi donava un quadro, di sconosciuto autore (che alcuni vorrebbero tedesco) di scarso valore, e detto della Sentenza contro Gesù Cristo, chè questa appunto vi si legge riprodotta in basso nel suo testo latino, sopra una targa a cartocci”.
I “cartocci”, ovvero i cartigli, riportano, come anticipato, i dialoghi del giudizio in tribunale di Cristo:
CAIPHAS PONTIFEX: Nescititis omnes quid velitis: Praestat unum mori quia universum populum perire.
POPULUS AD PILATUM: Si simueris hunc... amicus Caesaris. Crucifige, crucifige et sanguis eius super nos et super filios nostros.
SIMON LEPROSUS: Qua lege tenetur seditiosus?
RABAM: Sed cur latae sunt leges quam ut serventur?
ACHIAS: Reus non est incognita causa morti obiciendus.
ROSMOPHIM: Quare sunt leges posita si non observentur?
PUTIPHARES: Seductor patriam et populum perturbat, ergo exterminandus.
RYPHAT: Lex funesta nisi... est qua reso...
IOSEPH AB ARIMATEA: Turb... et flagitiosum sum... virum... inocentem defendat.
IORAM: Quare sinemus virum vivere nunq quia iustus est ad mortem damnari?
EHIERIS: Iustus sit morietur, tamen maxime quem populus suis sacerdotibus... ad seditionem concitat.
NICODEMUS: Aut lex nostra... aliquem inaudita et incognita causa conndemnat?
DIARABIAS: Cum igitur populum seducat, morte dignus est.
SAREAS: Exterminemus sediciosum in patriae pernicem natum.
RABNIT: Sive... iustus sit sive... iniustus, quis tamen... legibus?
IOSAPHAT: Catenetur et in vinculis perpetuis serventur.
PTOLOMAEUS: Si nec iustus est nec iniustus, quid tamen moramur cur non cito vel morte vel exilio ipsum damnamus?
TERAS: Praestat ipsum vel exilio damnare vel ad Caesar mittere.
MESA: Si ... ad ... expellamus a nobis...
AMECH: ...
Prima metà del XVII secolo
Olio su tela, cm 120 x 90
Inv. 82, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Il dipinto risulta essere stato rubato nel gennaio 2001; secondo gli inventari del patrimonio ospedaliero era collocato presso l'Ufficio del Direttore Sanitario in Villa Tamagno al primo piano.
AMBITO LOMBARDO
Olio su tela, 105 x 140 cm
Inv. 263, Ospedale Casa Pia Luvini di Cittiglio
La scena sembra potersi identificare con la vicenda di Ester e Assuero. Contro un fondo architettonico si stagliano gruppi di personaggi che ostentano pose teatrali con punte di intensità espressiva. L'opera risulta ancorata ad inflessioni locali forse non prive di qualche contatto con il linguaggio veneto, soprattutto nella composizione di carattere scenografico e corale. Ad oggi purtroppo non si possiedono documenti che possano permettere di ricostruire la committenza o l'originaria collocazione dell'opera.
Olio su tela, 50 x 65 cm
Inv. 265, Ospedale Casa Pia Luvini di Cittiglio
La tela, giunta a noi in cattivo stato conservativo, è con buona probabilità il frammento di una composizione sacra di dimensioni maggiori.
Traspare, nella tensione dei corpi e nel gioco di sguardi tra i protagonisti, una lontana eco delle celebre tela morazzoniana oggi conservata al Museo Diocesano di Milano. Nella composizone della tela decurtata di Cittiglio, è visibile un accenno, in forma abbreviata, della contrapposione dinamica e violenta tra le figure, ricca di tensione esplosiva e supportata da un particolare registro luministico, che ad oggi, a causa delle cattive condizioni conservative della pellicola pittorica, è difficilmente ravvisabile.
Olio su tela, 47 x 35 cm
Inv. 266, Ospedale Casa Pia Luvini di Cittiglio
Alla luce dei dati materiali, stilistici ed iconografici, si ipotizza che l'opera qui presa in esame sia un falso realizzato nel secolo XIX, ad imitazione di un dipinto antico.
Olio su tela, 44 x 33,5 cm
Inv. 267, Ospedale Casa Pia Luvini di Cittiglio
Olio su tela, 200 x 142 cm
L'opera rappresenta l'Assunzione della Madonna dal sepolcro scoperchiato. Quattro angeli sorreggono la Madonna assisa su un trono di nuvole mentre altri quattro puttini si affacciano tra i raggi d'oro e le nubi.
Riferita al pittore Pietro Antonio Magatti dallo storico Luigi Borri che, nel suo volume del 1909, elenca anche le altre tele antiche presenti nella chiesa dell’Ospedale di Varese, la tela, bisognosa di un intervento di restauro, è giunta sino a noi in mediocri condizioni conservative.
Tuttavia una sapiente composizione delle figure e un calibrato registro formale, assieme ad una certa libertà inventiva nei volti degli angioletti, fanno di quest’opera una delle più notabili di soggetto sacro del patrimonio ospedaliero.
Un ricordo suggestivo dell’opera del pittore Salvatore Bianchi è visibile nel dipinto qui preso in questione, sebbene la diversa qualità del lavoro del Bianchi renda problematico l’accostamento stilistico con la tela del nosocomio cittadino.
Il brano al quale si intende fare riferimento è l’Assunzione affrescata da Salvatore Bianchi a Ganna (Varese), nella chiesa di Santa Croce in Campobella (post 1692 – ante 1723). Il velatese Salvatore Bianchi non fu immune dagli esempi genovesi di Domenico Piola, Gregorio De Ferrari e Bartolomeo Guidobono, scoprendo il dinamismo e la leggerezza della loro pittura decorativa. Nel brano affrescato a Ganna, il Bianchi dispiega la sua maniera morbida ed aggraziata, fatta di impasti cromatici schiariti e di un sapiente chiaroscuro che dà corpo alle figure.
Uno schema che forse non mancò di interessare l’anonimo autore della tela del nosocomio varesino, dove certe affinità desunte dall’opera del Bianchi sono ravvisabili oltre che nella figura della Madonna, nei lievi e scherzosi angioletti che ficcano lo sguardo in quello del riguardante.
È possibile che proprio il fare largo, monumentale del dipinto con l'Assunzione, combinato con una felice composizione, abbia suggerito al Borri l’inserimento dell’opera nella produzione del Magatti. Tuttavia una certa insistita corposità nelle figure della Madonna e degli angeli difficilmente richiamano la tensione espressiva, le composizione serrate ed articolate, le fredde tinte marcate da livori trascoloranti del Magatti.
La mancanza di sicuri appigli cronologici, inoltre, dissuadono dall’azzardo di una proposta definitiva, ma suggeriscono tuttavia di collocare cronologicamente la tela verso la fine del XVII secolo.
Fine XVII secolo – Inizio XVIII secolo
Olio su tela, cm 85 x 129
Inv. 157, Varese, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Reparto Radioterapia
Inv. 159, Varese, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Opera documentata
Inv. 158, Varese, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Villa Tamagno
Inv. 156, Varese, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Opera documentata
Olio su tavola, cm 110 x 87
Inv. 16, A. O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Olio su tela, 93 x 153 cm
Ultimo quarto del XVII secolo
Inv. 221, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, chiesa dell’Ospedale
Il dipinto risulta essere il pensandt del dipinto Inv. 220, rispetto al quale ha misure identiche e connotati stilistici ed iconografici similari.
Olio su tela, 93 x 153 cm
Ultimo quarto del XVII secolo
Inv. 220, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi, chiesa dell’Ospedale
Il dipinto risulta essere il pensandt del dipinto Inv. 221, rispetto al quale ha misure identiche e connotati stilistici ed iconografici similari.
Olio su tela, cm 55 x 41
Prima metà del XIX secolo
Inv. 171, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
L'opera rappresenta una giovinetta di tre quarti, con i capelli raccolti sulla schieda e un grembiule bianco sopra una casacca verde. Ad oggi nulla si conosce sull'autore del dipinto e sul motivo e la datazione di ingresso dell'opera nelle collezioni dell'Azienda Ospedaliera di Circolo e Fondazione Macchi.
Olio su tela, cm 34 x 28,5
Secolo XIX
Inv. 123, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Mediocre stato conservativo
Il dipinto rappresenta un'anziana donna a testa china e avvolta in un umile coprispalle. Il profilo della donna è segnato da macchie cariche di materia pittorica e da pennellate veloci tali da restituire un aspetto quasi bozzettistico. Nulla, allo stato attuale, è dato sapere circa l'autore del dipinto e il momento di ingresso della tela nella Quadreria dell'Ospedale di Varese.
Olio su tela, cm 76 x 44
Fine del XIX secolo
Inv. 87, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Mediocre stato conservativo
La tela rappresenta una bambina seduta e con le mani in grembo. Porta un ampio foulard bianco e rosso a raccogliere i capelli.
Interessanti risultano la posa della protagonista (che volta il capo e lo sguardo alla propria destra, in una posa disinvolta e quasi da istantanea fotografica), la condotta pittorica dell'incarnato e il contrasto cromatico che si viene a creare tra il fondo uniforme, il vestito a toni ribassati e la macchia rossa del foulard. Nulla, allo stato attuale, è dato sapere circa l'autore del dipinto e il momento di ingresso della tela nella Quadreria dell'Ospedale di Varese.
CICLO ALLEGORICO - CESARE CROCE CAMPIOTTI
I pannelli costituivano un unitario ciclo pittorico di oltre 95 metri quadrati e provengono dalla camera mortuaria dell'Istituto di Medicina Legale del vecchio Ospedale di Varese. Nel 2005, in occasione della costruzione del nuovo ospedale, l'Amministrazione ha richiesto all'autore di progettare la divisione dell'opera in modo tale che potesse trovare idonea sistemazione nel nuovo fabbricato. Oggi sono conservati nel nuovo reparto di Medicina Legale del Monoblocco.
Olio su telaio di masonite temperata, cm 187 x 200
Inv. 203/a, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione dell’artista
Olio su telaio di masonite temperata, cm 187 x 200
Inv. 203/b, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione dell’artista
Olio su telaio di masonite temperata, cm 187 x 200
Inv. 203/c, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione dell’artista
Olio su telaio di masonite temperata, cm 187 x 200
Inv. 203/d, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione dell’artista
Olio su telaio di masonite temperata, cm 150 x 106
Inv. 203/e, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione dell’artista
Olio su telaio di masonite temperata, cm 273 x 355
Inv. 203/f, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione dell’artista
Olio su telaio di masonite temperata, cm 273 x 355
Inv. 203/g, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione dell’artista
Olio su telaio di masonite temperata, cm 280 x 128
Inv. 203/h, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione dell’artista
Olio su telaio di masonite temperata, cm 280 x 110
Inv. 203/i, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi
Buono stato conservativo
Donazione dell’artista
DIPINTI MATERNITA'
Collezione di 15 dipinti
Acrilico, misure varie
Inv. da 219/1 a 219/15, Varese, A.O. Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi